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Sono già passati venticinque anni dal Mondiale dell'82 e soltanto uno dal debutto azzurro in quello tedesco, concluso nel trionfo sotto il cielo di Berlino. Venticinque a uno, il tempo corre. Due Mondiali, due generazioni, due epopee a confronto. Siamo sicuri che questi trionfi hanno lasciato la stessa traccia? Sono i nostri occhi che li vedono diversi oppure la differenza d'impatto sta nelle cose? Nessuno ha la verità in tasca, eppure qualche piccolo indizio aiuta a capire, partendo da una domanda di fondo. Quanti italiani — adesso — si sentono campioni del mondo?
ONDA GLOBALE - E quanti — e per quanto tempo — si sono sentiti campioni dopo quel fantastico 1982? L’emozione legata al trionfo spagnolo era stata più forte e consistente, ma soprattutto inaspettata. Allora, un’onda di entusiasmo colossale aveva attraversato il Paese, da nord a sud, nelle grandi città e in provincia, espropriando le piazze abituate alle divisioni della politica. Senza alcuna organizzazione alle spalle, centinaia di migliaia di italiani erano scesi in strada, spontaneamente. Non ci stavano più dentro alla cupezza degli anni di piombo. Volevano far festa, sventolando il tricolore. Ragazzi e ragazze, il bello del made in Italy. Per la prima volta il calcio abbatteva il muro dei sessi e si apriva al mondo femminile, attratto in massa dal profumo di vittoria e dal fascino dei Cabrini e Tardelli, dei Conti e Paolorossi.
IL BIVIO - Adesso è molto più normale, ci si abitua a tutto. La televisione ha cambiato il calcio e il calcio ha cambiato le tivù, che continuano a trasmetterci un diluvio di immagini in una diretta senza fine, dilatando il business in misura esponenziale. Negli ultimi vent’anni il Milan, la Juve e altri club italiani hanno collezionato coppe Campioni o Uefa, frequentando assiduamente semifinali e finali europee, come una logica prosecuzione delle competizioni nazionali. Per non dire delle grandi stelle del pianeta: non ce n’è molte che siano sfuggite ai coriandoli del calcio italiano. Sembrerà strano, ma tutto passa attraverso il 1982. Quello è il bivio decisivo.
ICONE - Allora il Brasile di Zico e l’Argentina di Maradona sembravano imbattibili e inarrivabili, come i loro fuoriclasse. La forza propulsiva della Nazionale di Enzo Bearzot era riuscita a surclassare brasiliani, argentini e infine anche i tedeschi contro ogni pronostico. L’aveva fatto con grandi giocate e grandi gol, opere d’arte che avevano trasformato in icone i loro autori. Oggi qualcuno crede che Paolo Rossi sia soltanto un comico brizzolato. Altro effetto tivù. Negli anni Ottanta, se andavi in giro per il mondo, era impossibile sfuggire al tormentone: "Italiano? Ah, Paolorossi...".
FOTO GIA' VECCHIE - Dopo quel Mondiale, tutti i più grandi di Spagna ’82, da Maradona a Zico, da Platini a Boniek, da Cerezo a Rummenigge erano venuti a giocare in serie A. Dopo il trionfo azzurro del 2006 è stata l’Italia a esportare i suoi campioni: Cannavaro al Real, Zambrotta al Barça e adesso Toni al Bayern. Forse è un sintomo di progresso, di sicuro è un dato che ci scivola addosso come acqua sugli impermeabili. Da Moggiopoli in poi, sono successe così tante cose in questi mesi, che anche lo scudetto dell’Inter, il ritorno in A della Juve e la Champions del Milan sembrano fotografie già vecchie.
TEMPO - Poco da fare: le briciole del Mondiale di Marcello Lippi si consumano più in fretta. Così, nel calcio kleenex di questo inizio secolo l’immagine di Materazzi abbattuto dalla testata di Zidane vale come quell’urlo di Marco Tardelli nella bolgia del Bernabeu. Ma niente nostalgie: ci vorrà altro tempo per restituire proporzione alle cose.
gazzettadellosport.it
Anche molti di noi erano "ragazzi" nel '82
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