SOCRATE SECONDO FRANCA VALERI
Dai teatri di Venezia ("Il Goldoni") a quelli di Padova, Trieste, Milano, Firenze, Palermo, con "La vedova di Socrate" Franca Valeri ripercorre la scia di autori drammatici - Durrenmatt, Savinio, Panzini ed altri - che, ispirandosi alla morte di Socrate ne arricchiscono la memoria pur in angolature satiriche, scorci di malignità invidiosa, esilaranti tinteggiature.
La Valeri, maestosa e fragile attrice ultraottantenne, nelle vesti di Santippe dà vita a una pièce di commossa e pietosa rievocazione del suo uomo appena scomparso. L'ironia raffinata condita da un amore protettivo non poteva che esaltare l'uomo (pur in una visione storica distorta e sapida sulle orme , in parte , dello svizzero Durrenmatt) l'uomo che disprezzava il denaro, nè aspirava a pubblici onori; battutosi da eroe a Potidea e a Delio, affrontato i Trenta Tiranni, esigeva un amore puro per la patria e le sue leggi. Ci teneva -sospira la Santippe-Valeri- a essre amato dagli dei...Era fissato su come si doveva stare bene nell'aldilà... L'unica cosa bella per lui è l'anima, ma non gli perdonava che dicesse cose inaudite che fomentassero invidia e risentimento come ad esempio "Solo gli ignoranti sono sapienti... La morte è il migliore fra tutti i beni dell'uomo...La virtù non deriva dalla ricchezza..."
Ma certe cose doveva dirle solo in famiglia, alla sua Santippe. Le calunnie di Anito, Mileto, Licone, parlavano di un Socrate che corrompeva i giovani investigando sulle cose celesti, su quelle sotterranee, sulla non fede negli dei, nel fare prevalere la ragione e smascherare il falso. La Valeri-Santippe, invece, le tinge di una veste sessuofoba: quegli stupidi belli di Agatone e di Alcibiade non erano altro per lui che cervelli da riempire di un po' di sapienza; suo marito fra i giovani non si sentiva che un tenero nonno. L'affetto per il suo Socrate le suggerisce la fuga dalla cicuta mortale e il conseguente rifugio a Siracusa presso il tiranno Dionigi. A immolarsi al suo posto si offre Aristofane, non avendo nulla da perdere dato che le sue commedie andavano deserte, procurandosi così una fama imperitura. Genio malefico di tale sostituzione è Platone che Santippe chiama il losco in quanto si trovava bene solo nei panni di Socrate, sfruttandone i suggerimenti per immetterli in quei prolissi dialoghi di cui lei esigeva i diritti di autore. Platone, tuttavia, le sarà utile ora nella sua occupazione di antiquaria: venderà le maschere degli uomini illustri con annesso un dialoghetto platonico per maggiorarne i prezzi. Comunque vedova dovrà diventare perchè Dionisio, pur ammirando perdutamente suo marito, tanto da portarselo sempre dietro, finì per condannarlo a morte avendo il grande filosofo vinto la sfida nel sopportare il vino nelle loro notevoli sbornie serali.
Franca Valeri attraverso un flusso via via crescente di pochade, immerge la figura di Socrate in un bagno di depurazione retorica per ritrarcelo nella sua trasparente umanità, valorizzazione etica ed intellettuale. Decapita miti e sistemi filosofici in un percorso drammatico-umoristico di magistrali cadenze, sfumature di dizione dalla penetrante efficacia. Lei stessa, a pièce ultimata, diventa icona , gracilità e commozione nell'abbraccio prolungato ed affettuosissimo dei battimani.