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Papa Ratzi e Mama-ometto...

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2006 18:49
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17/09/2006 10:18
 
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Giusto per aggiungere altra carne a cuocere, in questa domenica grigia e piovosa che molti rascorreranno accanto al pc, chiedo:

Che ne pensate del commento di Ratzinger che ha messo a fuoco il sempre tollerante Islam? [SM=g27828]
17/09/2006 11:57
 
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La frase di papa Benedetto XVI (ripresa da cosa detta dall’imperatore bizantino Manuele Paleologo un bel po’ di tempo fa):

"Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava."

E aggiungo un commento di Gad Lerner, pure non privo d’interesse:

"Quello che ha irritato i musulmani come attacco diretto al Profeta, voleva essere in verita' un excursus su fede e ragione. Dal quale dovevano uscire ugualmente criticati la sottomissione islamica al divino e lo scientismo occidentale."
17/09/2006 11:57
 
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eh,concorso di colpa...gli islamici sono integralisti,fanatici...ma papa ratzinger non sembra da meno,in questo momento storico le sue parole,nella mentalità musulmana, sono benzina che incendia il motore...


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17/09/2006 14:39
 
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Dialogo tra integralisti non integrati? [SM=g27822]
17/09/2006 22:13
 
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Oggi il Papa, si è rammaricato e pare ch il mondo mussulmano abbia accettato le scuse .... speriamo ....
17/09/2006 22:33
 
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Bè... io mi sono letto il discorso... dopodichè ho chiesto a varie persone che criticavano quel discorso se l'avevano letto: risposta: non l'aveva letto nessuno! solo i lanci di stampa riportati dai giornali.

Ora... che le masse arabe non leggano il discorso ma siano fomentate da gente che ha interesse a fomentarle non è una sorpresa nè una novità.
Semmai la sorpresa (fino a un certo punto) è nel vedere illustri "commentatori" che parlano senza aver letto il discorso.

Un discorso "dotto", da ex professore nella sua ex università... davanti a 1.500 professori (sia cattolici che atei) che hanno unanimemente apprezzato quel discorso... così come tutti i politici tedeschi presenti all'evento.

Giustamente il Papa si è dichiarato rammaricato per essere stato frainteso... il problema è che secondo me non è stato fraiteso... c'era la volontà, soprattutto da parte dei media occidentali, di fraintenderlo... per questo sono state lanciate in stampa due sole frasi delle 3.800 parole contenute in quel discorso.

Che, in sintesi, affermava la pericolosità del "mondo senza Dio" dell'occidente e della "guerra santa" per imporre il proprio credo religioso tipico di una parte dell'Islam di oggi mentre l'Islam potrebbe maggiormente esplicitare quella Sura del Corano che afferma la necessità della libertà del proprio credere.

Franco Cardini afferma che c'è stata una operazione delle agenzia di stampa della destra americana volta volontariamente a "fraintendere" il senso del discorso del Papa prevedendo le reazioni dei mussulmani al fine di far vedere le proprie ragioni giustificanti lo scontro di civiltà data l'ignoranza e l'intolleranza di chi agisce con tali reazioni... e io mi trovo d'accordo con l'analisi di Cardini.


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"Misericordia io voglio, e non sacrifici", dice il Signore

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18/09/2006 05:09
 
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In linea di massima apporti al discorso materiale anche in parte condivisibile.

Il discorso io ho DOVUTO leggerlo, visto il cancan che ha generato in più ambiti, e se anche posso concordare circa l'intento in buona parte dotto e dottrinario, noto tuttavia che forse alcuni passaggi potevano essere meglio meditati, e forse addirittura evitati alla luce delle attuali problematiche socio-politico-religiose.

Ciò proprio perchè si sa quale è la meccanica che scatta nei cervellini di quelle frange fanatiche dell'Islam così di moda di questi tempi, e si sa anche che non vedono l'ora di sollevar casino.

Naturalmente solo un'opinione da "pensiero indipendente", eh?

Un appunto al tuo intervento, Marco: in USA, la critica forte è arrivata dalla sx democrat, NY Times in testa, non dalla dx, checchè ne dica Cardini.

18/09/2006 07:20
 
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Re:

Scritto da: daimon. 18/09/2006 5.09


Un appunto al tuo intervento, Marco: in USA, la critica forte è arrivata dalla sx democrat, NY Times in testa, non dalla dx, checchè ne dica Cardini.




La critica del NY Times è simile a quelle che da sempre il mondo "liberal" fa a chiunque non si allinei al pensiero politically correct... non è una novità...

Ma non è di "critica" che parlava Cardini... ma di lancio delle agenzie di stampa... sono state le agenzie di stampa vicine ai teocon le prime ad estrapolare due frasi dal discorso e a lanciarle nel mondo e in particolare nel mondo arabo.



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"Misericordia io voglio, e non sacrifici", dice il Signore

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18/09/2006 07:39
 
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Teoria complottista, dunque...

Cosa pensi tuttavia circa l'inopportunità di affrontare tale tema con tale citazione allo stato attuale della tensione internazionale?
18/09/2006 09:48
 
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Re:

Scritto da: daimon. 18/09/2006 7.39
Teoria complottista, dunque...

Cosa pensi tuttavia circa l'inopportunità di affrontare tale tema con tale citazione allo stato attuale della tensione internazionale?



Se hai davvero letto il discorso integrale del Papa avrai sicuramente chiaro che la questione era stata affrontata con chiarezza e rispetto! Ossia con l'invitare l'islam a interpretare con minore "letteralità" le sure inerenti la guerra santa e ad interpretare con maggiore intensità le sure inerenti la libertà di culto religioso.

Inoltre non si deve mai aver paura della verità... se oggi una frangia islamica tende a sottolineare la necessità della guerra santa, attuata a mezzo terrorismo, bisogna certamente non avere paura a dirlo, richiamando nel contempo i mussulmani alle ricchezze di tolleranza che pure hanno.

Mettere la testa sotto la sabbia come sono abituati a fare i governi e gli intellettuali europei non è e non sarà una soluzione! Ogni dialogo deve basarsi su verità e rispetto...

Nessuna teoria complottista... solo la consapevolezza che gli amici di bush hanno tutto l'interesse a far vedere "l'inferiorità mussulmana" e lo "scontro di civiltà" al fine di portare avanti le loro campagne militari...


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18/09/2006 10:04
 
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Certo che mi è chiaro. Così come mi resta chiara l'evidente inopportunità di proporre un argomento di simile complessa delicatezza in un momento in cui ovviamente sarebbe stato strumentalizzato da TUTTE le parti in causa... non credi?
18/09/2006 10:21
 
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Re:

Scritto da: daimon. 18/09/2006 10.04
Certo che mi è chiaro. Così come mi resta chiara l'evidente inopportunità di proporre un argomento di simile complessa delicatezza in un momento in cui ovviamente sarebbe stato strumentalizzato da TUTTE le parti in causa... non credi?



No... non credo... non c'è stato nulla di inopportuno nel discorso del Papa... a meno che non vogliamo dire che ogni riferimento a verità storiche e attuali ed ogni invito ad essere dialoganti e tolleranti sia "inopportuno"...

Mi piace molto quello che ha scritto oggi Vittorio Messori sul Corriere:

www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2006/09_Settembre/18/messo...


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18/09/2006 10:58
 
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Ok, assodato che ritieni il Papa al di sopra di ogni considerazione critica, attenderei pure l'opinione di altri.

Non vorrei incorrere nel reato di "pubblica opinione"...
18/09/2006 23:04
 
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Re:

Scritto da: daimon. 18/09/2006 10.58
Ok, assodato che ritieni il Papa al di sopra di ogni considerazione critica, attenderei pure l'opinione di altri.

Non vorrei incorrere nel reato di "pubblica opinione"...




mi allineo ovviamente al concetto di inopportunità che hai esposto sopra....

per quanto non ammetta che non si possa fare alcuna dichiarazione sull'islam senza che venga strumentalizzata e utilizzata per aizzare il popolo, trovo che Ratzi questa uscita, così come molte altre del resto, poteva risparmiarsela..

esempio di belle uscite:

... è di pochi giorni fa la dichiarazione secondo la quale l'omosessualità, in quanto trasgressione, sia parente della violenza. Di quella ogni sincero democratico dovrebbe aver paura.

senza contare gli attacchi contro lo stato laico...ecc. ecc.




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Dea meravigliosamente luminosa
benedici noi con il tuo agognato sguardo,
Tu che facesti del giorno la notte &
(Mike Oldfield)
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Mikayla Dryadia ap Ruis
18/09/2006 23:48
 
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Re: Re:

Scritto da: Mikayla Dryadia 18/09/2006 23.04



mi allineo ovviamente al concetto di inopportunità che hai esposto sopra....

per quanto non ammetta che non si possa fare alcuna dichiarazione sull'islam senza che venga strumentalizzata e utilizzata per aizzare il popolo, trovo che Ratzi questa uscita, così come molte altre del resto, poteva risparmiarsela..

esempio di belle uscite:

... è di pochi giorni fa la dichiarazione secondo la quale l'omosessualità, in quanto trasgressione, sia parente della violenza. Di quella ogni sincero democratico dovrebbe aver paura.

senza contare gli attacchi contro lo stato laico...ecc. ecc.





E anche qui non ci siamo per niente...

Si estrapolano sempre alcune frasi... non si leggono mai le dichiarazioni complete... e si pretende di giudicare...

Mons. Vecchi di Bologna non ha assolutamente detto quanto da te affermato!

Nel suo discorso ha prima deplorato l'episodio di violenza di cui sono stati vittime due ragazzi omosessuali... nella seconda parte dell'intervento, riferendosi non più al caso di specie ma in generale, ha affermato che una società che si fonda senza Dio (poichè trasgressione in senso cattolico significa ribellione a Dio) esclude da se stessa l'Amore e dunque si espone alla violenza.

Tornando al Papa a me ancora sfugge quale sarebbe l'inopportunità del suo discorso... prego chi vuole rispondere di procirarsi il testo completo e di leggerselo... poi mi dica cosa c'era che non andava bene...


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19/09/2006 05:03
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 SETTEMBRE 2006)

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006



Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.

Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!

È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.

Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano. Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.

Nel settimo colloquio (???????? – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jih?d, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, brusco al punto da stupirci, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „??? ????”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".

L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.

A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il ?????". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „??? ????”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.

In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.

Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „??????? ???????“ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).

Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.

Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.

La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.

La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.

Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.

Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.

Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.

Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è – Lei l’ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.

Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno". L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.



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1.Il discorso lo procuro io così nessuno si deve affannare.

2.Come ho già detto, qui dentro non si fanno giochini con le fonti, le mie sono fonti Ferrarelle e tanto basta.

3.Noto che i preti parlano sempre più difficile, pare che vengano "fraintesi" di continuo...

4.Ah, le Crociate erano scempiaggini allora e restano scempiaggini adesso, prescindendo da chi e come le conduce...


Buona giornata.
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Ovviamente salta all'occhio il passaggio "incriminato", di cui reitero con forza l'inopportunità in questo momento storico delicato e confuso o, in alternativa, per chi preferisce sempre e comunque appiattirsi sull'inesistente infallibilità del Sacro Soglio, peraltro evidentemente fallibilissimo, ne rimarco la scientifica vis polemica, sottilmente studiata per continuare la inutile campagna elettorale a caccia del voto delle anime... e concludo ricordando che, a causa di queste dottissime parole, e di altre simili, da ogni lato e da molto tempo, c'è gente che neppure le capisce, ma per esse muore...

...Bella cosa i conflitti religiosi, sissì, roba seria e importante, di questi tempi difficili...
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Re:

Scritto da: daimon. 19/09/2006 5.06
1.Il discorso lo procuro io così nessuno si deve affannare.

2.Come ho già detto, qui dentro non si fanno giochini con le fonti, le mie sono fonti Ferrarelle e tanto basta.

3.Noto che i preti parlano sempre più difficile, pare che vengano "fraintesi" di continuo...

4.Ah, le Crociate erano scempiaggini allora e restano scempiaggini adesso, prescindendo da chi e come le conduce...


Buona giornata.



Una "lectio magistralis" davanti ad un pubblico di professori universitari come vuoi che sia? se non "difficile" nel linguaggio...

Detto questo... chiunque legga quel discorso non potrà trovarvi nulla che possa essere frainteso... la stessa citazione del Paleologo è etichettata come "parole pesanti" dal Papa... e mai dà neppure la minima impressione di far proprie quelle parole...

Dunque... di inopportuno cosa c'è?


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"Misericordia io voglio, e non sacrifici", dice il Signore

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Re:

Scritto da: daimon. 19/09/2006 5.56
Ovviamente salta all'occhio il passaggio "incriminato", di cui reitero con forza l'inopportunità in questo momento storico delicato e confuso o, in alternativa, per chi preferisce sempre e comunque appiattirsi sull'inesistente infallibilità del Sacro Soglio, peraltro evidentemente fallibilissimo, ne rimarco la scientifica vis polemica, sottilmente studiata per continuare la inutile campagna elettorale a caccia del voto delle anime... e concludo ricordando che, a causa di queste dottissime parole, e di altre simili, da ogni lato e da molto tempo, c'è gente che neppure le capisce, ma per esse muore...

...Bella cosa i conflitti religiosi, sissì, roba seria e importante, di questi tempi difficili...



A prescindere che "l'infallibilità papale" si applica soltanto nel depositum fidei... per cui nessuno è tenuto a credere "infallibili" le parole del Papa quando non parla "ex cathedra".

Per cui questo tuo discorso mi pare inficiato all'origine da un pregiudizio e da una scarsa conoscenza delle cose cattoliche.


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