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FANTASTICO..PER FORTUNA CHE STA BANE!!!
IL SECOLO XIX
Ottantenne colto da infarto al gol di Lopez Salvato per miracolo chiede: «Com'è finita?»
di:Matteo Indice
Del: 5-06-2006
Ci vuole un cuore grande così, certo. Ma quello di A. C. da Pontedecimo, ottant'anni e una vita passata a tribolare per il Grifo, dev'essere proprio gigantesco. Perché ieri pomeriggio nemmeno i medici credevano ai loro occhi in gradinata nord, quando lui è crollato dopo il gol di Dante Lopez, un secondo prima che la moglie potesse rispondere alla domanda più ansiosa: «Amore, ma quanto manca?».
Non ci credevano visto che gli avevano già fatto quasi dieci minuti di massaggio cardiaco, e usavano il defibrillatore e A. C. non rispondeva mai. «È morto un tifoso per la troppa emozione» ha provato pure a gufare qualcuno in tribuna, allarmato da quello strano viavai nella parte superiore della curva e dalle voci impazzite che avevano fatto il giro di mezzo stadio.
Ci vuole un cuore grande così, sta scritto da decenni sugli striscioni.
A. C. ha battuto un secondo gli occhi, poi s'è svegliato. «Silenzio, silenzio» faceva la dottoressa del 118: aveva intuito che voleva parlare, il paziente, che non gli venivano le parole ma avrebbe chiesto qualcosa nel giro d'un secondo.
«Quanto ha fatto il Genoa? Quanto è finita 'sta partita?». Gli hanno sorriso, rimesso la sciarpa che i militi avevano allentato per agevolare l'intervento, lo hanno tranquillizzato mentre duecento persone intorno applaudivano e da lontano nessuno capiva bene: il match si era chiuso da cinque minuti, gli altri supporter avevano già interrotto l'apnea e doveva essere per forza capitato un incidente. Ci vuole un cuore grande così anche per sopportare l'attesa, come ha fatto sua moglie, accompagnata in infermeria e vittima a sua volta d'un leggero malessere.
«Non si può patire tanto - dicevano gli amici - però cosa ci vuoi fare?». E anche parlando con loro è stato possibile ricostruire l'agonia degli ottantacinque minuti che hanno preceduto l'infarto, corollario d'una vita passata a tifare Genoa e a farsi tanto sangue marcio.
Il film del mezzo miracolo racconta quindi di A.C. che arriva al Ferraris in anticipo, per prendere il posto buono, che ovviamente si dirige alla Nord ma sopra, dove almeno si respira un po'.
«Nell'intervallo - dice adesso sdraiato in un letto del San Martino, con i figli accanto - mi ero assentato per andare al bagno, non sono riuscito nemmeno a veder bene il primo gol. E ora non ricordo il malore, i soccorsi, il viaggio fin qui. Sai com'è, sono un po' confuso».
In compenso gli sono rimasti impressi il pareggio di Magliocco e la zuccata rabbiosa di Lopez, la marea di gente che a momenti lo travolge e l'ennesimo sobbalzo, a cinque minuti dalla fine, la goccia che fa traboccare un vaso decisamente saturo di emozioni e delusioni.
«Quanto manca», chiede mentre la palla torna a centrocampo e inizia il conto alla rovescia, accasciandosi senza avere il tempo di ascoltare la risposta. Il resto è la cronaca d'un mezzo miracolo per cui bisogna ringraziare qualcuno, gli addetti Anpas del servizio sanitario stadio coordinati da Patrik Balza: «Mai visto nulla di simile - ammettono - e più i minuti passavano, meno eravamo fiduciosi di riportarlo in vita». Ha esultato, Patrik Balza, e avrà telefonato cinquanta volta all'Unità di terapia intensiva coronarica per sapere se si era ripreso del tutto.
A. C. invece sorride, all'ospedale: «Vado da una vita allo stadio, sempre con la famiglia e perlomeno abbiamo vinto. Di recente ho avuto qualche problema di salute ma non potevo mancare. E vorrà dire che la finalissima me la guarderò in tv, forse è meglio». Ci vuole un cuore grande così, altroché.
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